L’altro giorno, come qualche volta succede, nella cassetta delle lettere ho trovato un manoscritto. Era di un ragazzo di Roma che mi pregava di leggerlo e, nel caso l’avessi ritenuto valido, di fare da tramite con il mio editore.
Intanto un consiglio: mai spedire un libro ad una persona che si occupa di scrittura. Per leggere gli inediti ci sono gli editor, ed inoltre, il mio parere riguardo ad uno scritto sarà sempre negativo: se fa pena perché fa pena, se è meraviglioso, beh… perché è meraviglioso e ne sarei infinitamente invidioso.
Ad ogni modo, per quel che mi riguarda, la scrittura è stata da sempre una necessità. Una maniera per sopravvivere, per non morire, in sostanza.
Ho talmente tante storie dentro che se non escono in qualche maniera, finisco per esplodere.
Attraverso i personaggi racconto chi sono e, molto più spesso, chi non sono. Chi vorrei essere. E lo racconto a me stesso.
Così nascono storie molto migliori della mia, persone con valori più profondi, con un carattere più deciso, capaci di amare meglio, di odiare più a fondo, di vivere in maniera più completa ed io, una volta terminato un libro, guardo questi personaggi da distante e mi rassereno vedendoli così belli e tutti figli miei.
Immagino sia naturale essere orgoglioso dei propri figli.
Spesso succede che, alle presentazioni o per strada, mi avvicinino in tanti convinti di ritrovare in me la bellezza di Oceano o di Siro o di Zoe.
Ecco… quello che vorrei dire è che io sono un farabutto rispetto a loro. Le cose migliori le ho scritte, il resto è vita.
Insomma, per farla breve, il fatto di scrivere una storia non c’entra nulla con l’idea di farsi pubblicare. Una storia deve nascere dalle ceneri di te stesso. E’ una cosa che non puoi fare a meno di fare quella di stenderla su un foglio di carta.
Ti chiama.
Ti obbliga a seguirla. Ad innamorarti di lei.
Non ti concede alternativa.
Tu finisci per avere senso solo se i tuoi personaggi esistono e viceversa.
E’ un’ossessione.
Poi, la fase successiva, quella della prima pubblicazione, deve accadere per caso, quasi in maniera accidentale.
Nel mio caso ad esempio, la spinta a pubblicare il mio primo romanzo è arrivata da un regista piuttosto famoso che ho conosciuto ad una conferenza.
Ero andato ad ascoltarlo e, in chiusura, chiese alla platea se qualcuno poteva accompagnarlo in aeroporto.
“io” – dissi alzando la mano – “ho appena preso patente ma, se si fida, la porto io”
Giù tutti a ridere tranne lui, che accettò il passaggio.
Durante il viaggio ci siamo conosciuti e poi, non molto tempo dopo, tramite lettera mi chiese di spedirgli qualcosa di mio. Gli inviai “il selvaggio”.
Non molto dopo mi telefonò dicendomi che era buono davvero e mi consigliava vivamente di provare a pubblicarlo e, da lì, la mia decisione di spedirlo ad un po’ di editori.
Ed eccomi qui!
Questa breve storia vuole dire una cosa soltanto: se ami scrivere, scrivi!
Proprio come, se ti piace guardare il cielo, lo guardi, senza aspettarti nulla in cambio. Se poi, mentre sei con il naso all’insù vedi una stella cadente, quello è solo un “incidente” che ti stupisce forse un po’ di più.
Solo così puoi mettere al mondo personaggi che valga la pena di conoscere perché solo così questi personaggi riescono ad incarnare la tua intimità. Ad essere personaggi di valore e, se lo sono, stai certo che, prima o dopo, qualcuno si accorgerà di loro.
Tutto qui.
La scrittura è una guerra.
E’ questione di rock.
Gentile Francesco,
leggendo le Sue parole mi è subito venuto in mente l’incipit de ‘Un matto’ di De Andre’, al ‘mondo nel cuore’; forse le motivazioni del ‘matto’ sono diverse rispetto alle Sue, ma simile mi è sembrata l’intensità di questo bisogno struggente che spinge a tirare fuori ciò che c’è dentro.
Sono felice che Lei abbia trovato le parole per esprimere il Suo mondo: sono felice per Lei, naturalmente, ma anche per me che ho avuto il piacere di leggere due dei Suoi romanzi, e lo stesso hanno fatto i miei genitori (sono stati loro a consigliarmeli).
Cordiali saluti
Lidia