Qui in montagna le campane erano la voce dei paesi.
Raccontavano della vita e della morte attraverso il loro suonare ora festoso ora dimesso.
Scandivano le ore, i giorni di festa e le messe e poi, davano il loro meglio la notte di Natale.
C’era il campanaro che puntuale s’infilava dentro l’angusta porta del campanile, afferrava le lunghe corde di canapa, dava l’abbrivio e, in breve, si ritrovava a saltare su e giù appeso alle funi con i bambini che sbirciavano attraverso le finestre di pietra per vederlo volare.
Le campane chiamavano le persone.
Le nonne smettevano le faccende, si stringevano lo scialle sul petto, chiamavano a raccolta i figli e i nipoti e s’incamminavano alla chiesa.
Gli uomini infilavano il cappotto, calcavano in testa il cappello e anche loro seguivano la strada per la Casa del Signore.
Procedevano con le mani dietro la schiena e chini in avanti per affrontare le strade che quassù sono tutte in salita.
Una volta arrivati s’inginocchiavano ai banchi con le mani giunte e pregavano in silenzio e ascoltavano il parroco.
Anche i boscaioli più forti, quelli che bastavano otto o nove colpi per abbattere un abete, tenevano la testa china perché, quando vivi tra le cime, ti rendi conto che la vita è fragile e che siamo tutti nelle mani di Dio.
Dopo la benedizione c’era un via vai di strette di mano e sorrisi e in molti si fermavano a chiacchierare di come andava il mondo e, se qualcuno di recente era salito in cielo, mancava, e il suo vuoto si sentiva tra la gente e nei cuori.
Così, in questo mondo piccolino, un tempo si spiegava la grandezza dell’uomo, fatta di piccole cose importanti.
Fatta di umanità.
Con il passare degli anni le nostre belle montagne hanno preso a svuotarsi. Hanno riversato a valle i migliori giovani che questi luoghi abbiamo mai conosciuto, partiti alla ricerca di qualcosa di più.
Alla ricerca della città.
Di moderne opportunità.
Ma la metropoli è rumorosa e così, giorno dopo giorno, le orecchie si sono fatte dure.
Frastornate dai suoni dei motori, dei tram, della carriera, dei telefoni, si sono disabituate alla voce del vento che pettina i larici, al silenzio della neve che scende d’inverno e anche all’eco delle campane di quassù.
Ma loro, le campane, non hanno smesso di battere: hanno suonato per i boschi, per le vallate e per le cime immacolate.
Hanno chiamato a raccolta persone che non c’erano più, ma hanno suonato sempre.
Così è accaduto che, il Natale di due anni fa è stato sepolto dalla neve.
Non si è capito se fu un fatto di clima o una volontà divina fatto sta che ne è venuta giù da seppellirci e che, molti abeti, appesantiti da metri di bianco, sono caduti sulle linee dell’alta tensione e ci hanno lasciato senza corrente per più di una settimana.
I turisti, arrivati per le vacanze, vista la mal parata ben pensarono di darsela a gambe ma le strade erano tutte bloccate e così furono costretti a rimanere quassù, sotto uno spesso mantello di neve e senza luce.
I telefonini non funzionavano. Le automobili non potevano muoversi. Le caldaie non scaldavano e le televisioni erano mute e nere.
In questo stato d’immobilità vedevo le persone impazzire. Sembrava che senza nulla da fare morissero.
Ma poi, dopo i primi due giorni di smarrimento cominciarono a cucinare con il fuoco, a scaldarsi con la legna, a mangiare all’imbrunire e ad andare a dormire con il buio.
Quell’anno la montagna aveva imposto il suo tempo.
Il campanaro, che non funzionava elettricamente, non aveva mai smesso di fare il proprio dovere e così, il ventiquattro dicembre, accadde un fatto: un quarto d’ora prima della mezzanotte tre chierichetti si recarono nel campanile con l’intento di aiutare e, tutti appesi alle lunghe funi, suonarono e saltarono e suonarono con l’agilità degli scoiattoli e tanto fecero, che quel suono, nel silenzio della morsa ghiacciata di quell’inverno, arrivò alle orecchie delle persone di nuovo.
“ascolta… le campane!” – dissero alcuni
“c’è la messa” dissero altri
“da quanto tempo non le sentivo” dissero tutti
Così, guidati dalla musica festosa che rimbalzava sulle pareti dell’Antelao e di vetta in vetta si uscì dalle case con le nonne a braccetto diretti alla messa e dopo la fine dell’omelia, ci si fermò a chiacchierare di come andava il mondo e gli anziani, che con la luce elettrica sembravano impacciati e desueti e “fuori moda” diventarono d’un tratto attuali. Uniche televisioni nuove di zecca che trasmettevano programmi di un passato che si stava dimenticando e così, attraverso quella melodia di bronzo, vecchia quanto il mondo, il Signore trovò la via per scaldare nuovamente i cuori, da troppo tempo sordi alle cose dell’uomo.
Quelle per cui questa vita breve ci è stata data.
Un paesaggio d’altri tempi, ricreato dalla magia della neve,riscoperta del silenzio interrotto solo dal suono delle campane , e la voce del cuore che racconta un bisogno di pace, bisogno sopito ma riesploso prepotentemente, perché nulla quanto la pace da senso alla vita degli esseri umani.E sia Natale.
Ciao Francesco… La magia di questo Natale particolare che mi hai regalato, mi fa incontrare personaggi di un tempo, quando la vita era scandita dalle stagioni. Ho cercato anch’io quel Natale:
S’è perdù ’l Nadal
T’ài cercà!
Sot el lusòr dei lampioni
’nté mili lum che me ’ndorbìss
’ntéle reclam dei panetoni
entél bonodór de stofìs.
T’ài cercà!
Sot ai péci morti embalsamadi
en tra ’n meàr de gènt ai «mercatini»
en mèz a tanti de sensari ’ndafaradi
a vènder glòbi sgiónfi de lustrini.
T’ài cercà!
Entrà filastòche, «spot», sonéti
’ntrà saldi, oferte e liquidazión
parfin sota le tòneghe dei preti
te ogni bùs, piazza e cantón…
No t’ài gatà, Nadal!
Es forsi nà ’n malora?
Te suplico, no avertén en parmal
mi, son zucón e cerco … cerco ancora.
S’è perso il Natale – T’ho cercato! / Sotto la luce dei lampioni, / nelle mille luci che mi abbagliano, / nella pubblicità dei panettoni, / nel buon odore dello stoccafisso. // T’ho cercato! / Sotto agli abeti morti e imbalsamati, / tra una moltitudine di gente ai «mercatini», / in mezzo a tanti imbonitori indaffarati / a vendere globi gonfi di lustrini. // T’ho cercato! / Tra filastrocche, «spot», sonetti, / tra i saldi, offerte e liquidazioni, / perfino sotto le tonache dei preti, / in ogni buco, piazza e angolo di strada…
/ Non ti ho trovato, Natale! / Sei forse andato in fallimento? / Ti supplico, non avertene a male, / io sono testardo e cerco… cerco ancora.